Educare alla lettura (SuperEva 2002)



In questi giorni, a Bologna (dal 2 al 5 aprile) è stata organizzata la Fiera del libri per ragazzi.
Ecco un ottima occasione per ricordare che il libro per ragazzi è un settore particolarmente vitale nel panorama editoriale italiano.
Secondo un’indagine commissionata dall’Associazione italiana editori, nell’ultimo anno l’offerta è cresciuta ancora, nonostante sia un periodo di crisi e di calo delle vendite. Sono aumentati i seriali, i tascabili, e i libri per piccolissimi.
A cosa è dovuto questo successo?
Accade il fatto strano che i bambini italiani leggono più dei loro genitori?
In parte sì, ma non solo.
Se infatti è vero che basta entrare in una libreria e scoprire molti bambini spulciare, sfogliare, manomettere libri (il segno specifico di un lettore in erba), è anche vero che molti genitori comprano e leggono libri, ufficialmente scritti per ragazzi. Herry Potter n’è il caso più lampante ma non l’unico.
Dunque, al di là dell’età, la letteratura per ragazzi funge da apri strada, da procacciatrice di nuovi lettori?
Probabilmente.
E infatti anche quest’anno a Bologna sono previsti molti incontri proprio su questo argomento: “EDUCARE ALLA LETTURA”.
Ma siamo così sicuri che sia possibile educare alla lettura?
Io, scusate se ve lo dico, penso che simili cose, data la materia, andrebbero trattate non da esperti educatori, ma da Dottori.
Avete presente quelli che, oggi come oggi, lavorano a questa “polmonite letale”? Ecco proprio loro!
Troppo spesso, invece, rannuvolati intellettuali pongono l’accento sull’importanza di leggere, sull”importanza di farsi una cultura, una cultura con CU maiuscola.
C’insegnano che per vivere meglio, per essere padroni della situazione, per comprendere la vita, perfino per trovare in futuro un buon posto di lavoro, bisogna leggere leggere leggere.
Insomma il romanzo viene accostato allo studio.
Leggere uguale studiare (con la STU maiuscola). Non c’è niente di più deleterio per scoraggiare un lettore che inquadrare la narrativa all’interno di questo schema! Dice Daniel Pennac in “Come un Romanzo” (Feltrinelli): “Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare” e il verbo “sognare””.
A scuola, molto spesso, ci hanno fatto odiare, questo strano oggetto, colorato, odorante, rumoroso che è il libro. Ci hanno spinto ad identificarlo con un qualcosa che assomiglia al registro (quindi per default fuori dalla realtà).
Il libro, invece, è innanzi tutto un momento di divertimento.
Chi, come noi, è un accanito lettore, sa benissimo che la lettura è una specie di vizio, di febbriciattola che qualcuno ti ha contagiato, esattamente come si contagia il raffreddore. Per contatto, vicinanza, osmosi. Sappiamo benissimo, inoltre, che come il raffreddore, o il morbillo è difficilissimo riuscire a contagiarsi volontariamente. Te lo becchi sempre quando meno te lo aspetti (proprio come ci s’innamora quando meno te lo aspetti).
Poco tempo fa su Rai tre in una trasmissione (era “Parola mia”, quella condotta da Rispoli), l’eminente (lo dico con rispetto, con una punta d’ironia, ma con rispetto) professor Gianluigi Beccaria, si è lanciato in un discorso che cito più o meno alla lettera: “Bisogna leggere, ma l’importante è leggere i grandi classici, se devote leggere questi nuovi romanzetti, questa letteratura denominata fiction, è meglio che lasciate perdere”. Non vi nascondo che sono dovuto andare a prendermi un bel bicchierone d’acqua (va bhe d’accordo, era vino!) per riprendermi dallo scivolone che Beccaria in quella circostanza (ancora una puntina d’ironia?) aveva preso sparpagliandolo nell’etere televisivo (spero solo che pochi pronti a metter piede in una libreria l’abbiano sentito).
Leggere, come correre o giocare a pallone, comporta un’infinità di benefici, ma nessuno, dico nessuno, il venerdì sera in procinto di uscire per una sana partita di calcetto si sognerebbe mai di annunciare: “Mamma esco per andare a stimolare i mie rapporti sociali, tonificare le gambe, e affinare i riflessi”, direbbe solamente (e giustamente): “Vado a calcetto, forse torno tardi, non mi aspettare, che dopo scatta una pizzettina post partita, bye bye!”.
Quanto poi all’uso contrapposto di “classico” e “fiction”, vorrei ricordare al prof. Beccaria che un capolavoro (un classico prof.!) come “Il circolo Pickwick” di Dickens fu senz’altro anche un prodotto di fiction.
Uscì a dispense su un giornale a metà dell’ottocento, e certo non fu scritto con impellenti bisogni d’erudizione e di bellezza.
Racconta Dickens: “Ero un giovanotto di ventitre anni quando gli editori Champman e Hall mi cercarono per propormi di scrivere qualcosa da pubblicare a puntate al prezzo di uno scellino per fascicolo. Accettai perché mi servivano soldi per sposarmi e comprare casa”. Dickens la casa se la comprò, e come, e ciò nonostante Pickwick rimane un capolavoro oltre ad essere fra i libri più divertenti e mirabolanti che si può avere occasione di leggere.
Bene, è con questo la finisco, con tante scuse a Beccaria, e con l’augurio che chi non conosce il piacere del libro, camminando per strada, o anche, perché no, in un’aula, incontri accidentalmente un accanito lettore. I segni del contagio sono rapidi e ineluttabili. … al primo libro pensi sempre che sia un caso, al secondo ti senti solo un pizzichino eccentrico. Il terzo? Non conta! Al quarto ti dici: “ma sì, facciamo uno strappo”. Il quinto è “una fase passeggera”. Poi scopri che gli scaffali della tua stanza sono ormai pieni (proprio quelli che a mala pena dovevano sopportare il peso dei testi scolastici per la cultura con la CU maiuscola). Hai un attimo di sbandamento, ma subito ti ripeti: “posso smettere quando voglio”. Ma due giorni dopo - non sai neanche come – ti ritrovi dal ferramenta a comprarti quattro scaffali, no, meglio cinque, da attaccare al muro, e 10 stop da 8mm grazie, che devono reggere mucio peso, e allora capisci che ci sei dentro, fino al collo ci sei dentro!
Ciao, ci vediamo a Bologna (per chi viene)!
Antonino Pingue

Nota di pubblicazione: era il 2002 e io scrivevo mucho così: "mucio".... non ho voluto correggerlo.