31 ago 2010

Semplicemente era più STRONZA (22mo Festival di Foto Giornalismo)


In questi giorni a Perpignan in Francia è in corso il 22mo Festival di foto giornalismo. La notizia è che nell’era della super informazione, della circolazione vorticosa delle immagini, la professione di foto reporter è in crisi. Troppo elevati i costi. E scarso interesse per la realtà. Si è discusso per esempio sui reportage di Haiti: “Gran parte delle immagini che abbiamo visto erano chiaramente artefatte. I visi impolverati delle vittime diventati ancora più bianchi, i cieli con dei grigi da apocalisse.” Manierismo? Decadenza? Perdita della realtà? O invece ricerca della realtà perfetta dove tutto sia compreso e dove quindi manchi l’incompreso?

Jean Baudrillard, “Il delitto perfetto”: "Finora abbiamo pensato una realtà incompiuta, travagliata dal negativo, abbiamo pensato quel che mancava alla realtà. Oggi si tratta di pensare una realtà alla quale non manca niente, degli individui ai quali non manca potenzialmente niente e che quindi non possono più sognare una elevazione dialettica.”

La cosa che più mi interessa è il collegare la comparsa di una realtà perfetta con la scomparsa della dialettica e di un pensiero critico. “Che cosa può fare il pensiero critico, il pensiero del negativo, di fronte all’eliminazione di ogni negazione, ossia davanti a una de-negazione pura e semplice? Nulla!”.

Sono abbastanza vecchio da ricordare quando tutto ciò non esisteva, e abbastanza giovane da essere complice di questa iper-realtà. Sono abbastanza vecchio da ricordare quando esisteva il NO, come parola. E abbastanza giovane da riconoscere che oggi il NO è scomparso. Il NO, oggi, è l’assenza del SI.

Questa scomparsa del NO, e l’abbandono della dialettica, la si nota a tutti i livelli, a partire da quello interpersonale. Un disaccordo si manifesta attraverso una interruzione di comunicazione (tolgo il SI), e si può risolvere attraverso una, totalmente fraintesa, idea del perdono (che non passa attraverso una analisi condivisa –nel senso discussa – di ciò che è accaduto). La discussione, intesa come scontro dialettico di opposte visioni è semplicemente qualcosa di negativo. E’ in disuso, ed è percepita come fastidiosa se non patologica. Il concetto di chiarificazione (regno della dialettica) è stato messo in disarmo (e qualcuno l’ha visto galleggiare in un molo periferico del porto di La Spezia).

Per questo assistiamo anche a fenomeni opposti, come la spettacolarizzazione del litigio. Ci divertiamo a vedere in televisione gente che litiga perché lo percepiamo come un qualcosa di proibito. Come quando si vede un film porno: il gusto sta nel vedere e quindi liberare qualcosa che è tabù, che non si fa.

Se nasce un problema, il modo di risolverlo è cancellarlo. Se io desidero fare qualcosa che so potrà ferirti (nulla di più umano), lavorerò per renderlo invisibile. E ciò che è invisibile non esiste. Pensiamo alle nuove funzioni di FeceBook, alla possibilità di rendere visibile una cosa a uno ma non a un’altro. Tutto questo è messo sotto l’etichetta della privacy ma è cosa totalmente distinta. E' la scomparsa di un’etica basata su “io so che te l'ho fatto” e rimpiazzata da “io so che tu non lo sai e quindi non l’ho fatto”. La volontà di non raccontarlo non è solo conseguenza della vecchia e sana vigliaccheria ma anche il rispetto di un nuovo senso estetico dove il negativo è cancellato.

Questa forma di comunicare priva di NO (o di negativo) diventa difficilissima di fronte ai NI (che esistono e come). Parlarsi diventa un vero lavoro di cesello, stressante e sempre pieno di tranelli. I mezzi di comunicazione usati, non a caso, sono sempre quelli indiretti (come un sms) che possono prevedere come risposta, appunto, l’assenza di risposta. La veicolazione di un pensiero indeciso, passa quindi attraverso un SI ma intermittente. Dove la cosa che conta sono, non le parole che si dicono, ma quelle che mancano. Quello che ne nasce è una specie di duello senza armi. Un duello che si perde nel momento in cui, uno dei due cede e fa una domanda diretta: “Ti va di uscire con me, si o no?” “Ti piaccio, si o no?” “Ti va di parlare di ciò che è accaduto, si o no?”. Per quanto la chiarezza è un qualcosa che tutti cerchiamo, e che in determinate occasioni è un bisogno, tutti, più o meno rifuggiamo da un simile comportamento perche sappiamo che è perdente. Perdiamo, se facciamo così, perché manchiamo di senso estetico. Una estetica dove tutto è perfetto. E dove quindi il negativo non esiste e se esiste è cancellato.

“Quest'anno, per la prima volta, il World Press Photo è stato costretto a squalificare un'immagine che era già stata premiata nella sezione sport. I giurati si sono accorti tardi che, con l'aiuto del computer, il fotografo Stepan Rudik aveva eliminato un piede, evidentemente di troppo, tra i giocatori ripresi nella fotografia.”
Capito?

Alcuni mesi fa una coppia di cari amici sposati è andata in crisi e ha divorziato. Lui non faceva che ripetermi “non me ne frega nulla”, ma mentre lo diceva, piangeva. Lei diceva più o meno la stessa cosa, ma senza piangere. Dopo qualche tempo seppi che chiusa nella sua stanza anche lei piangeva e molto. Sta di fatto che la capacità di lei di mostrare indifferenza l’ha resa agli occhi di tutti più forte, e quindi più matura (credo che questo sia una delle cause maggiori della sofferenza di lui). Tutto ciò è normalissimo: lei ha semplicemente dimostrato di essere in grado più di lui di adeguarsi all’estetica/morale in cui viviamo. (in un'altra estetica forse qualcuno avrebbe pensato semplicemente che era più STRONZA).

Antonino Pingue © 2010 Todos los derechos reservados

27 ago 2010

Cuando las palabras afilan los chucillos


Quien trabaja a diario con las palabras, además hallando ganarse así su vida, sabe muy bien que un texto esconde en sí mismo muchos pequeños engranajes secretos. Sin embargo en el colegio todavía no nos enseñan a reconocer y admirar estas “maquinarias”, con el resultado que la literatura parece a nuestro joven estudiante algo extraño, algo demasiado alto, algo totalmente fuera del mundo. Algo que no tiene ninguna comodidad en nuestra vida. Como si los escritores, empezado por los más grandes, para tener despierta nuestra atención, no se hubieran afanado en inventarse cada posible treta y artimaña.
Al día de hoy, Bello y Útil (o Bello y Eficaz) ya han tomado caminos totalmente distintos.
Permítidme por lo tanto intentar el análisis de la obra del que considero un genial y desconocido poeta de nuestros días. Un poeta en el cual, belleza y utilidad, por suerte, todavía viven juntos y bien pegaditos. Es italiano, y pasaba bajo mi casa de Roma todos los jueves por la mañana con su coche sobre el cual había montado un megáfono. Era desde este megáfono que gritaba al mundo su poesía....

¡Mujeres ha llegado el afilador!
Afilo: cuchillos,
tijeras, tijeretas, tijera de seda, cuchillos de jamón.
¡Mujeres ha llegado el afilador y el paragüero!
Arreglamos los paraguas.
¡El paragüero, mujeres!

Arreglamos las cocinas a gas.

Tenemos las piezas de recambio de vuestras cocinas a gas.

Si tenéis pérdidas de gas, nos las arreglamos.
Si vuestra cocina echa humo, nosotros eliminamos el humo de vuestra cocina a gas.

Trabajo enseguida.

¡Ya!

El texto, aparentemente comercial, es en realidad sumamente poético.
El primer verso es pronunciado marcando la M de “mujeres”, haciendo una pequeña pausa antes del verbo y alargando ligeramente la última vocal de "afilador."
¡MMujeres.... ha llegado el afiladoor!
El incipit es breve, preciso, inequívoco. Contiene, sea el mensaje sea el sujeto, a quien el mensaje va dirigido. Además, aprovechando el sonido de la M de “mujeres”, el afilador lo utiliza como estruendo, trueno, triquitraque para despertarnos. Está implícita una suspensión temporal. Parece decir: "Si estáis haciendo algo paráis de hacerlo (¡mmujeres!). Si estáis pasando la aspiradora, encaprichaos de mi voz que ha logrado alcanzaros en vuestro tecnológico ruido: tengo que hablaros, y miren, merecerá la pena."
En el segundo verso (afilo: cuchillos, tijeras, tijeretas, tijera de seda, cuchillos de jamón), el afilador pasa a un tono más contenido. A nivel fonético se limita a subrayar el F de "afilar", pero transforma una aburrida lista de utensilios, en una pequeña cantinela. De hecho no dice: "tijeras, tijeras de seda y tijeretas", que sonaría aburrido, sino aprovecha la gracia del diminutivo así que: "tijeras, tijeretas y tijeras de seda", nos sirvan de viático para entrar en un mundo de sueños, en el reino feliz donde todo está afilado.
Atento a no caer en lo melindroso, en cambio, cierra el verso con un concepto macho, práctico, concreto, metálico e inflexible, pero al mismo tiempo, sabroso, salado, sustancioso como: "cuchillos de jamón." Y para atar la cosa a las infinitas tijeretas citadas, aprovecha la repetición de "cuchillos", con la cual frase se abre y, ahora, se cierra. El verso, así, es perfectamente simétrico, y alude al mismo tiempo a una energía vigorosa, alisada, representada por "cuchillos", pero también guiña a una sensibilidad típicamente femenina: las "tijeretas".
En fin este afilador tiene brazos derechos, capaces de afilar, pero también es dulce, paternal e inspira confianza.
Desde luego ya ha logrado nuestra atención.
Pero no se queda satisfecho. Y repite: "¡Mmujeres! ha llegado el afilador y el paragüero." Pronuncia el verso con igual tono, pero ahora, cuando empieza a alargar la última vocal de "afilador", a la que nosotros casi nos estábamos acostumbrados, de repente él toma aliento, pronuncia sonora la conjunción y enseguida da la noticia: ¡también es un paragüero!
Si estabáis corriendo hacia la puerta con cuchillos y tijeretas, ahora os paráis y volvéis atrás a tomar también los paraguas.
Notad como el verso, muy astutamente, tiene una dúplice función. Recomenzando por "mmujeres" revela su ambición de poesía, de canto, de Trovador bajo vuestro castillo (o sea no estáis asistiendo a un anuncio sino a una serenata); por otro lado la repetición del verso amortigua la sorpresa del paragüero. Él no quiere aparecer como alguien que esconde algo. O sea no quiere ser atemorizante. Enganchando “paragüero” a "afilador" conjuga las dos cosas. Implícitamente parece que quiera tranquilizaros. No dice: soy un afilador, y luego ¡error! soy un paragüero. Dice: soy un afilador y un paragüero.
Él es el genio de la lámpara, entrega buenas nuevas del País de los Juguetes, tiene mil historias guardadas para vosotros, y quien lo escuche caerá en estado de gracia.
Consciente de la novedad, el afilador insiste con tono dulce, casi didáctico. Explica, conciliador, que un paragüero arregla paraguas. El paragüero, por supuesto, mmujeres.
Ahora que con prudencia ha conquistado vuestra confianza, ¿pero qué digo? ¡vuestro cariño! aprovecha para anunciar sus nobles orígenes (¡que van a atarse con sus nobles intenciones!) Y se promueve a sí mismo como un Príncipe Azul, pasando al plural mayestático.
Cada residual sospecha cae, ya. Cada barrera entre tú, antropológicamente definida “mmujer” y un, todo sumado extraño, es borrada. Una nueva realidad fascinadora está totalmente inventada para ti (como solo los grandes saben hacer). Es el fin de todas las culpas, el jubileo de las buenas maneras, de la antigua galantería; cuanto más preñada de sentido si es anunciada por, fijate, un príncipe. El príncipe de los afiladores... ¡qué además es paragüero!
Y entonces, y entonces él da otro pequeño paso adelante y... alude: “Arreglamos las cocinas a gas. Tenemos las piezas de recambio de vuestras cocinas a gas.”
Alude, por primera vez, no sólo a que vosotros bajéis al portón a llevarle cuchillos, tijeretas y paraguas, sino que sea él, oís oís, quien suba a vuestra casa, a entrar en el tálamo, en la central operativa de vuestro poder hogareño: ¡la cocina!
Reflejamos.
¿Cuán absurda habría sido esta solicitud sólo cinco líneas más arriba?
¿Un hombre, con timbre de voz vagamente fálico, que paseando ruidosamente por la calle con su coche (un coche fuera de moda además), invita en coro a las mujeres a dejarle subir a sus casas? ¡Inaudito! Y además, fíjate, por la mañana, cuando los maridos están fuera. Sí, los pobres maridos poco fálicos, y de apodos a capón (pupuchino panshulino caramelito de mi vida, ranito de mis tetas, obesito perropopito gordinchulinchu ect. ect.).
En cambio, ahora, la cosa aparece perfectamente plausible. Él ha llegado hasta aquí sin que os diéseis cuenta, mejor, sin que tampoco realmente pudiérais sospechar algo. Ha modificado el horizonte de nuestros conocimientos. Abierto posibilidades consideradas remotas. No ha inventado nada, pero ha dado forma.
¡Aquí está la verdadera poesía! Aquella escondida, modesta, preñada de olores, no ajena, sino completamente “mojada” en el real. ¡Práctica!
Además hace falta añadir que él jamas ha usado un adjetivo. No ha dicho: soy bueno, ha dejado que tú lo dijeras. No ha dicho: seré gentil, lo ha demostrado.
¡Así, hundidas en vuestras tareas domésticas (¡mmujeres!), rodeadas de detergentes corrosivos, agujereadas en las medias, traicionadas por los peluqueros e insultadas por la celulitis, os vuelve a la mente, por fin, el sabor práctico y denso de: "Cuchillos de jamón."
Y os lo repetís extasiadas: "Cuchillos de jamón."
Y también nosotros, claro, nosotros pobres varoniles hogareños, que por suerte curramos en casa, al oír la voz nervuda del afilador, somos tomados por una ráfaga calentita y nos precipitamos, sin quererlo, a la ventana envidiosos a mirar.
Es una primavera femenina la que se ve. Mujeres, mujercitas, mujeres de la limpieza, se agolpan por la calle y los portones se abren y se cierran mientras ruidosas pantuflas plumadas cruzan, taconeando, patios interiores llenos de malparadas plantas crasas. Es un florecer de mundos alternativos.
“Si tenéis pérdidas de gas, nos las arreglamos. Si vuestra cocina echa humo, nosotros eliminamos el humo de vuestra cocina a gas”. Repitiendo “cocina”, “gas” y “humo” como un ungüento especiado capaz de aliviar las preocupaciones cotidianas.
“¿Cuándo? ¿Cuándo?” gritan las mmujeres.
“Trabajo enseguida” anuncia por fin explícito “¡Ya!”
Lo demás es literatura.
Antonino Pingue © 2010 Todos los derechos reservados.