22 abr 2010

Traduciendo Enrique Vila-Matas (Ay, mi estimado señor)




¿Es usted escritor o ha intentado serlo? Tanto si lo es como si ha querido serlo, usted ha tenido que conocer en algún momento de su vida el rechazo. Es posible que alguien desde alguna editorial le haya escrito alguna vez una carta donde muy educadamente le han dicho: “Estimado señor, nos ha causado una agradable impresión su manuscrito, pero...”
El rechazo es una amarga realidad de la profesión de escritor. A mí, en cierta ocasión, me devolvieron uno de mis primeros manuscritos con las mejores metáforas de mi novela tachadas con un rotulador y devueltas meticulosamente cambiadas, convertidas en las metáforas que proponía el anónimo responsable del informe de lectura. Un rechazo así no se olvida. Cada día hay cientos de personas deprimidas porque les han devuelto un manuscrito. Y eso que hay mil tácticas para intentar remontar el efecto rechazo. Una de ellas consiste en repasar las más famosas injusticias en esta materia. El famoso rechazo de André Gide al manuscrito de En busca del tiempo perdido de Marcel Proust, por ejemplo. O bien recordando que Dublineses de Joyce fue rechazado por veintidós editoriales. O pensando en la breve carta de rechazo que recibió Oscar Wilde por El abanico de Lady Windermere: “Mi estimado señor, he leído su manuscrito. Ay, mi estimado señor”.
El rechazo editorial ha creado la carta estándar de negativa, todo un género nuevo. No todas esas cartas estándar que circulan por ahí son educadas. Tengo noticia de algunas cartas de rechazo absolutamente maliciosas. Cuenta el joven escritor canadiense Kevin Chong (experto él mismo en recibir cartas de rechazo) que a veces puede lograrse una negativa malvada sin una sola palabra, y cita el caso de una amiga suya que envió un poema a la revista The New Yorker y éste le fue devuelto roto en pedazos, hecho trizas. En un reciente viaje al país de sus antepasados, el propio Chong encontró a un amigo desolado por la carta de rechazo que le habían enviado de una revista china de economía: “Hemos leído con indescriptible entusiasmo su manuscrito. Si lo publicamos, será imposible para nosotros publicar cualquier trabajo de menor nivel. Y como es impensable que en los próximos mil años veamos algo que supere al suyo, nos vemos obligados, para nuestra desgracia, a devolverle su divina composición, y a rogarle mil veces que pase por alto nuestra miopía y timidez”.
Muchos escritores rechazados creen que los que publican libros viven felices lejos del rechazo. Y, sin embargo, no es así, pues no hay un solo escritor reconocido que no sea cosido a rechazos a lo largo de su carrera. Son rechazos distintos a los de la carta educada o malvada, pero son también rechazos duros. Y es que por lo general un escritor serio no se cierra nunca puertas, aspira a gustar a todo el mundo, al mundo entero. Por lo tanto, cualquiera de sus éxitos parciales lo vive como algo muy relativo. Pero, en cambio, cualquier mínimo rechazo a su obra lo ve como una gran afrenta, un rechazo a la totalidad. Sólo así se explica entonces la desesperación y el llanto desconsolado, por ejemplo, de Pier Paolo Pasolini por una crítica negativa en la hoja parroquial de un pueblo italiano de mala muerte. Y es que una crítica en contra (aunque el crítico sea un famoso idiota), ese premio insignificante pero que sin embargo no le han dado, ese suplemento cultural en el que no le nombran y encima dedican tres páginas a un mamarracho, todo eso para el escritor reconocido son rechazos que le impiden vivir en paz.
Así que el rechazo persigue a escritores publicados y a escritores inéditos. Se sabe o debería saberse que unos y otros conviven en la eternidad en una especie de Club de los Rechazados en cuya secreta sede social se oyen por las noches voces espectrales que arrastran cadenas y dicen: “Ay, mi estimado señor.” Ahí, por ejemplo, puede verse en las noches de luna llena a Gide y Proust, todavía discutiendo sobre la valía real de un manuscrito rechazado.

Enrique Vila-Matas


Ahi, Gentile Signore…

E’ lei uno scrittore o ha tentato d’esserlo? Sia che lo sia o ha voluto esserlo, ha dovuto in qualche momento della sua vita conoscere il rifiuto. E’ possibile che qualcuno, da qualche casa editrice le abbia scritto una lettera dove molto educatamente le diceva: Gentile Signore, il suo manoscritto ci ha impressionato molto, tuttavia….”
Il rifiuto è una amara realtà della professione dello scrittore. A me, capitò a volte, di vedermi rimandare indietro alcuni dei miei primi manoscritti con le migliori metafore che avevo scritto cancellate con un pennarello e meticolosamente cambiate, trasformate nelle metafore che proponeva l’anonimo responsabile editoriale. Un simile rifiuto non si scorda. Ogni giorno ci sono centinaia di persone depresse perché si sono viste rifiutare un manoscritto. E per loro ci sono centinaia di tattiche per cercare di superare lo shock da rifiuto. Una di queste consiste nel ripassare le più note ingiustizie perpetrate nel campo. Il famoso rifiuto di André Gide al manoscritto “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, per esempio. O ricordando che “Gente di Dublino” di Joyce fu rifiutato da 22 editori. O pensando alla breve lettera di rifiuto che ricevette Oscar Wilde per “Il ventaglio di Ledy Windermere”: “Gentile signore, ho letto il suo manoscritto. Ahi, gentile signore…”.
Il rifiuto editoriale ha creato la risposta negativa standard, un genere totalmente nuovo. Non tutte le risposte negative che circolano in questo ambiente sono educate. Sono venuto a sapere di alcune assurdamente maliziose. Racconta il giovane scrittore canadese Kavin Chong (anche lui esperto in rifiuti) che si possono ottenere risposte negative crudeli che non contengono una sola parola e cita il caso di una sua amica che inviò un poema alla rivista The New Yorker e se lo vide restituire fatto a pezzi, stracciato. In un recente viaggio nel suo paese nativo, lo stresso Chong, racconta di aver incontrato un amico costernato per la lettera di rifiuto che le aveva inviato una rivista cinese di economia: “Abbiamo letto con indescrivibile entusiasmo il suo manoscritto. Se lo pubblichiamo, sarà per noi impossibile pubblicare qualsiasi altro lavoro di livello inferiore. E siccome è impossibile che nei prossimi mille anni vedremo qualcosa di superiore al suo, ci vediamo costretti, per nostra sfortuna, a restituirle la sua divina composizione e pregarla di ignorare la nostra miopia e la nostra timidezza”.
Molti scrittori rifiutati credono che chi pubblica libri viva felice, salvo dal rifiuto. Però non è così, non un solo scrittore riconosciuto non si è visto cucire addosso un rifiuto nella sua carriera. E’ differente ricevere un rifiuto educato invece di un rifiuto crudele, però è comunque duro. Il fatto è che, in generale, un autentico scrittore non si preclude nessuna porta, aspira a provare qualsiasi cosa, il mondo intero. Per questo qualche piccolo insuccesso lo vive come qualcosa di molto relativo. Al contrario, pero, il minimo rifiuto a la sua opera è per lui un grande affronto, come un rifiuto tucul. Solo così si spiega, per esempio, la desolazione e le lacrime disperate di Pier Paolo Pasolini di fronte alla critica negativa apparsa nel giornalino parrocchiale di un paesino italiano abbandonato da Dio. Il fatto è che una critica negativa (anche se il critico è un famoso idiota), quell’insignificante premio che però non gli hanno dato, quel supplemento culturale dove non lo nominano pero dedica tre pagine a un buffone, tutto questo, per lo scrittore riconosciuto, sono no che gli impediscono di vivere in pace.
Ed è per questo che il rifiuto perseguita lo scrittore pubblicato come lo scrittore inedito. Si sa, o si dovrebbe sapere, che l’uno e l’altro convivono per l’eternità in uno speciale Club dei Rifiutati nella cui segrete si sentono nella notte voci spettrali trascinare catene e dire: “ahi gentile signore”. In quelle stanze, per esempio, si possono scorgere nelle notti di luna piena Gide e Proust discutere sopra il valore reale di un manoscritto rifiutato.


Traducción hecha por Antonino Pingue ©

No hay comentarios:

Publicar un comentario